Parto subito con una doverosa premessa. Secondo me tutto finirà a tarallucci e vino. Nel senso che le big, prima o poi, faranno il loro campionato elitario e le piccole società si adegueranno di conseguenza. Così tutto il sistema calcio. Occorre tempo per metabolizzare il tutto, ma in un modo o nell’altro le parti in causa troveranno un punto di equilibrio e la Superlega vedrà la luce senza conseguenze apocalittiche. Sia perché le big, comunque vada, non vogliono abbandonare la Serie A, sia perché senza di loro il sistema calcio perderebbe appeal e soprattutto valore monetario.
Detto questo sarei curioso di assistere ad una rifondazione totale del mondo del pallone, senza di loro. Lascerei andare Juventus, Milan ed Inter in Superlega, chiudendo loro le porte del massimo campionato nazionale. E coglierei l’occasione di riscrivere completamente il sistema calcio. Magari con basi più eque, con regole chiare, che tengano conto degli equilibri finanziari delle società e che al tempo stesso permettano ai club di sognare attraverso la meritocrazia sportiva.
Perché non immaginare una Serie A senza big?
Il format sarebbe facilmente rivedibile, semplicemente accorciando il numero di squadre da venti a diciotto. Le tre big potrebbero essere sostituite dalle tre squadre promosse dalla B, con la retrocessione riservata alle ultime due. Scenari fantascientifici al momento, sia chiaro. Ma questo è il meno. L’occasione che si presenterebbe alle piccole del calcio sarebbe quella di rifondarlo da cima a fondo. E poco importerebbe il formato. Importerebbe il come. A cominciare da una redistribuzione equa dei diritti televisivi, dalla valorizzazione della Coppa Italia e di quel che resterebbe delle competizioni europee. Senza contare che, a livello nazionale, a quel punto potrebbero esserci piacevoli sorprese nella lotta ai vertici. Concettualmente sarebbe un genuino ritorno al passato, dove incassi ai botteghini, sponsorizzazioni, finanze dei presidenti incidevano in maniera più netta. Una sorta di “decrescita felice” in cui al centro torna il tifoso.
La Superlega non è il problema, ma una conseguenza
Già perché pensare che sia la Superlega il problema del pallone è obiettivamente fuorviante. La Superlega è una conseguenza del problema. Il calcio attuale, con gli introiti televisivi, fa comodo a tutti ed è un’illusoria parvenza di equità. In realtà è una corsa in cui chi è forte parte duecento metri avanti rispetto a chi è piccolo. Che diventa ancora più piccolo. Alle società gli è sempre stato bene, per coprire gestioni poco oculate o azzardate. Ecco perché il moralismo dei protagonisti di questo calcio inizia ad essere stucchevole. Quando vedi giocatori con mezza presenza in Serie A pagati decine di milioni di euro capisci che qualcosa non torna. Che qualcosa non funziona in tutto l’ecosistema calcio.
Allora l’alta tensione che si respira nella Lega di Serie A in queste ore deve trasformarsi in una forza costruttiva e non sfumare nelle solite chiacchiere da bar. Le piccole abbiano il coraggio di tenere fede alle proprie posizioni. Lascino la libertà alle big di andarsene, chiudendo loro le porte del nostre calcio. E poi lo rifondino da zero. Per dare vita ad un calcio magari più povero, all’inizio, ma sicuramente più vero e fatto per la gente che lo ama. Con passione, strategia e lungimiranza il mondo del pallone potrebbe sopravvivere. Agli uomini di affari che lo governano non mancano di certo idee e o capacità per renderlo sostenibile. Bisogna solo volerlo. E imboccare una strada poco battuta, lasciando alle spalle un porto “sicuro”. Quello attuale.